È stato pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, ed entra in vigore oggi, il decreto legislativo “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale” (DL 3 luglio 2017, n°112 collegato alla Riforma del Terzo settore (legge 6 giugno 2016, n° 106). Ecco a grandi linee che cosa contiene.
L’articolo 1 è dedicato alla definizione del nuovo soggetto: possono definirsi imprese sociali «tutti gli enti privati che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività». Si tratta in imprese in cui, tra l’altro, è possibile svolgere attività di volontariato, anche se il numero dei volontari, di cui l’impresa sociale deve tenere un registro, non può essere superiore a quello dei lavoratori.
Nodo centrale della riforma è l’utilizzo degli utili d’impresa, che il decreto disciplina così. Gli utili vengono di norma destinati «allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio»; è vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione a fondatori, soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali. Niente premi, dunque, né compensi «individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze», limiti comunque agli stipendi, che non possono superare del 40% quelli previsti dai contratti collettivi. Limiti vengono stabiliti anche per evitare conflitti di interesse (non si potranno vendere beni o prestare servizi a prezzi di favore per i componenti dell’impresa, né per i finanziatori e neppure per i loro parenti). L’impresa sociale può invece destinare parte degli utili (meno del 50%) per aumentare gratuitamente il capitale sociale o – ed è questo un elemento fondamentale – distribuire dividendi ai soci, «in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato». Può inoltre deliberare erogazioni gratuite in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano fondatori, associati, soci dell’impresa sociale o società controllate.
Le imprese sociali possono destinare una quota non superiore al 3% degli utili fondi istituiti dalle associazioni di imprese sociali o alla Fondazione Italia Sociale, il cui scopo è appunto la promozione e la crescita delle imprese sociali anche attraverso il finanziamento di specifici programmi di sviluppo. Si tratta di versamenti – è bene ricordarlo – «deducibili ai fini dell’imposta sui redditi dell’impresa sociale erogante». Infine, il capitolo delle agevolazioni fiscali (Art. 18). In esso si legge che gli utili e avanzi di gestione non costituiscono reddito imponibile nei seguenti casi: 1) se vengono indirizzati a una riserva destinata «allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio» o ai contributi per l’attività ispettiva; 2) se servono ad aumentare il capitale sociale. Per chi finanzia un’impresa sociale, persona fisica o società, si vedrà riconosciuta una detrazione fiscale del 30% sull’investimento nel capitale di un’impresa o coop che diventi impresa sociale nei termini stabiliti dal decreto, a patto che sia stata costituita da meno di tre anni. La detrazione è valida per tre anni e non può superare 1 milione nel caso delle persone fisiche e 1,8 milioni nel caso delle società. Tali benefici, tuttavia, saranno validi a partire dopo il ricevimento dell’autorizzazione della Commissione europea, ovvero non prima del 2019.