Si chiama L’Altra città, il percorso partecipativo e interattivo nella realtà carceraria realizzato all’interno della Casa Circondariale di Taranto. Il carcere per la prima volta si trasforma in una galleria d’arte.
L’evento è curato dal teorico e critico d’arte Achille Bonito Oliva e da Giovanni Lamarca, comandante del reparto di polizia penitenziaria della Casa Circondariale, con il contributo dell’Associazione “Noi e Voi”, rappresentata da don Francesco Mitidieri, che si occupa di volontariato penitenziario all’interno della casa circondariale ionica, del personale in servizio e in pensione (Anppe) e di esperti come l’artista e docente Giulio De Mitri, il giornalista e critico Roberto Lacarbonara, la sociologa Anna Paola Lacatena e l’attore Giovanni Guarino.
Sarà possibile visitare la mostra fino al prossimo 15 giugno, facendo richiesta scritta e telefonando al numero: 340/822.72.25
E’ necessaria la prenotazione perché la mostra è all’interno delle celle e degli spazi di solito usati dai detenuti. Il progetto, partito nella prima fase con un laboratorio sulla didattica dell’arte a cui hanno partecipato alcune detenute, prevede installazioni e foto allestite in un’ala fino a poco tempo fa inutilizzata della sezione femminile. Per entrare occorre essere schedati.
I visitatori entrano uno alla volta. Da soli. Perché l’esperienza è individuale: una discesa agli inferi. Anche quelli del proprio io.
Si comincia percorrendo un lungo corridoio dove, per avanzare, bisogna farsi largo tra il dolore. Quello di chi sta dentro, rappresentato dalle foto segnaletiche dei detenuti che pendono ad altezza d’uomo dal soffitto, e quello di chi sta fuori, richiamato da un tappeto fatto con le fotocopie delle carte d’identità che i familiari devono esibire ogni volta che chiedono un colloquio.
Entrando nel carcere la prima tappa del nuovo detenuto è l’ufficio matricola. La seconda è la cella ordinaria. Qui si aspetta. Si aspetta che il giudice emetta la sentenza. Altri tre minuti, tanto dura la sosta in ogni cella, e la porta si riapre. Trasferimento in isolamento. Il percorso carcerario si conclude nella cella dei “dimittendi”, l’anticamera verso una libertà riconquistata.
E come un vero detenuto per tre minuti chi parteciperà alla mostra verrà recluso in cella, per capire cosa si prova, leggerà gli atti giudiziari dei processi, sarà posto in isolamento, al buio. Infine entrerà nella stanza che separa dalla libertà, dal fine pena. La luce è azzurra, il colore che nei mandala tibetani esprime il superamento del turbinio delle passioni. I cartoncini colorati attaccati alle pareti hanno la forma di farfalle perché il ciclo della metamorfosi si è compiuto. Sul tavolo, una clessidra a ricordare quanto possa essere diversa la percezione del tempo quando si sta rinchiusi dentro una prigione. L’altra città è quindi un percorso interattivo attraverso cui le suggestioni, le paure e i mille pensieri che animano la mente della persona che sta per scontare la propria pena vengono proposte usando il linguaggio della creazione artistica. L’obiettivo è annullare la distanza tra società civile e reclusi.
Le detenute del carcere di Taranto sono state guidate in questo percorso dal maestro d’arte tarantino Giulio De Mitri, che ha tenuto il laboratorio artistico e didattico, e insieme alla sociologa Anna Paola Lacatena che ha animato una serie di incontri di riflessione e autocoscienza. Grazie a questo progetto il visitatore non è più solo spettatore ma diventa egli stesso, attraverso le proprie azioni ed emozioni, parte costitutiva dell’installazione.
Se a Roma la mostra «Please come back. Il mondo come prigione?» ha permesso di riflettere sulle tematiche della detenzione e del controllo nella società contemporanea, portando nelle sale del Maxxi le opere di ventisei artisti di tutto il mondo, a Taranto è il carcere stesso che si fa opera d’arte dalla forte valenza sociale. Dove l’esperienza diretta della vita ristretta diventa pretesto non solo per richiamare l’attenzione sulla questione carceraria, ma ancor più per proporre e avviare un processo autobiografico sulle proprie, personali prigioni.
Della mostra è stato fatto un catalogo, intitolato appunto L’altra città, il cui ricavato andrà alle attività dell’Associazione “Noi e Voi”.